La digitalizzazione – e in particolare Internet – hanno rivoluzionato talmente tanti aspetti della nostra esistenza che ormai ci sembrerebbe impossibile vivere senza computer, smartphone, navigatori e assistenti vocali.
Internet, in particolare, ha annullato le distanze. Telefonare a un vicino di casa che risponde solo al telefono fisso è più difficoltoso che chiamare via WhatsApp un nostro amico a New York. Recuperare un programma su una TV locale ci richiede più impegno che sintonizzarci in diretta sul canale Youtube di un influencer giapponese.
Chi era distantissimo, può, insomma, apparirci vicinissimo. Qualcuno come i nostri missionari.
Sono oltre settemila (dati del 2019) i missionari italiani in tutto il mondo. Religiosi o componenti di congregazioni maschili e femminili, preti diocesani ma anche tanti volontari laici fidei donum, inviati dalla fede delle loro chiese locali per alcuni anni o per tutta una vita.
Hanno scritto i padri del Concilio nel decreto “Ad Gentes”: «La Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria, in quanto è dalla missione […] che essa […] deriva la propria origine». Anche oggi, insomma, la Missione resta cruciale nella vita della Chiesa.
Occasioni come la Giornata Missionaria Mondiale – che si celebra la penultima domenica di ottobre – ci permettono di sostenere e ricordare il lavoro di questi annunciatori del Vangelo. E ogni parrocchia può alimentare il suo legame – affettivo ma anche di conoscenza – con i missionari che ha cresciuto nella fede o che ha avuto come pastori in passato, al di là delle loro visite a casa una volta l’anno, spesso anche più raramente.
Se un tempo però le comunicazioni con i missionari erano affidate a lunghe lettere e a poche fotografie che arrivavano via posta dopo settimane o mesi dall’invio, oggi abbiamo la posta elettronica. Se un tempo una telefonata intercontinentale costava un occhio della testa e si faceva solo in caso di emergenza, oggi si può stare a dialogare ore e ore via Skype o Zoom. Se un tempo – è il caso di alcune diocesi del Nord Italia – il vescovo faceva inviare il settimanale diocesano via posta a tutti i missionari nel mondo, con il risultato che le notizie arrivavano vecchie di settimane, oggi gli stessi missionari – grazie agli abbonamenti digitali – consultano il settimanale giorni prima che le copie cartacee arrivino nelle parrocchie.
Non basta però affidarsi alla tecnologia credendo che l’innovazione, da sola, riuscirà a ridurre le distanze e ad aumentare l’interesse per la missione.
In conclusione di questo tutorial ci permettiamo di affidare alle parrocchie cinque consigli per impiegare Internet per la comunicazione con i propri missionari.
1 – Valuta connessioni, dispositivi e predisposizioni personali
Non tutti i missionari hanno le stesse risorse comunicative a loro disposizione. In prima battuta, la Rete. Sebbene Internet sia arrivata in tutto il mondo, ci sono missionari nelle metropoli dell’Africa e dell’America Latina sempre connessi con il 5G a banda ultralarga. E poi, ci sono missionari negli Altopiani dell’Etiopia o nel pieno della Foresta dell’Amazzonia che accedono alla rete poche ore al giorno, magari accendendo un generatore per l’elettricità.
Tanta differenza la fanno anche l’alfabetizzazione digitale, la qualità dei dispositivi in dotazione e anche la capacità comunicativa del missionario.
Valuta onestamente queste tre variabili e capisci cosa potrete realisticamente fare.
2 – Incarica un referente di contatto
Dall’esperienza fin qui raccolta da vari Centri missionari diocesani, una buona linea di comunicazione con una parrocchia avviene quando i contatti ufficiali vengono curati tramite un singolo referente. Una persona, insomma, il cui incarico è quello di chiedere e ricevere aggiornamenti e fare da tramite tra la parrocchia e il missionario. Una ministerialità, insomma, che richiede attenzione e costanza.
3 – Inserisci il missionario negli ambienti digitali della parrocchia
Cose ovvie, ma non così tanto. Inserisci il missionario negli ambienti digitali della parrocchia come gruppi Facebook e gruppi WhatsApp anche esterni al suo primissimo interesse. Il missionario potrà disattivare le notifiche per non essere disturbato eccessivamente, ma potrà sempre avere “porte aperte” e libera iniziativa negli spazi virtuali della parrocchia. Questi spazi virtuali possono aprirsi anche agli spazi reali: con Zoom o Skype – mettendosi d’accordo per tempo – il missionario può prendere parte a riunioni, incontri pubblici e consigli pastorali.
4 – Richiedi contributi “fissi” e periodici
Tra le esperienze con le quali ci siamo confrontati una buona pratica è quella di chiedere periodicamente al missionario una testimonianza – in lettera o in video – sulle difficoltà e le conquiste dell’ultimo periodo a una data fissa e periodica. Un mese, due mesi, l’inizio dei tempi liturgici, Natale, Pasqua e Pentecoste, ogni tempistica va bene. L’importante per il missionario, sempre pieno di impegni, viaggi e apostolato, è poter scrivere o registrare con un po’ di anticipo. L’impegno reciproco è un ulteriore stimolo per non affidare al caso comunicazioni così importanti.
Queste rubriche “fisse” e periodiche possono essere accordate anche con i media e le pagine social della Diocesi.
5 – Sostieni progetti concreti
Attraverso i social le parrocchie possono documentare passo dopo passo la realizzazione di progetti caritativi nelle terre di missione. Il missionario può usare la sua voce per chiedere aiuto per il sostegno di una singola opera raccontandola dall’inizio alla sua realizzazione. Poter vedere con i propri occhi ciò che viene realizzato riempie i cuori e stimola tutti a fare di più. Nella concretezza aumenta questa sensazione di prossimità e vicinanza che si estende, anche grazie ai social, alle persone e alle comunità toccate, favorendo il dialogo e gli scambi concreti.
Testo: Andrea Canton