Il tutorial WeCa di questa settimana parla del fenomeno degli “streamer”. Un fenomeno apparentemente lontano sia dal “web cattolico” che dai campi di applicazione della pastorale digitale, eppure è un fenomeno che va conosciuto, sia per la sua portata in termini numerici, sia per l’impatto culturale verso le nuove generazioni, sia perché può offrirci spunti molto utili per comprendere come funziona il web oggi e, più in generale, la nostra comunicazione.
La definizione prima di tutto: la parola “streamer” viene da streaming ed è riferita, per l’appunto, a chi trasmette in diretta su piattaforme come Twitch o Youtube facendone un’attività professionale vera e propria.
Se gli “Youtuber” e i “Podcaster” producono video e file audio perché gli utenti ne fruiscano “on demand” in un momento successivo, gli “Streamer” vanno in diretta. Il fenomeno dei contenuti in streaming nasce legato al mondo dei videogiochi, ma subito ha trovato nuovi sbocchi: su Twitch abbondano i canali di scacchi, di commenti allo sport, di discussioni su politica, attualità e costume.
In buona sostanza chiunque, con un microfono, una videocamera e un pizzico di maestria può sperimentare l’ebrezza della conquista di quei piccoli e medi imprenditori che, tra gli anni ’70 e i primi anni ’80, fondavano in Italia le prime tv commerciali con mezzi di fortuna.
Il nostro viaggio di oggi tra gli “streamer” verterà su tre aspetti da tenere in considerazione e tre spunti di riflessione per giovani e adulti.
Primo aspetto: gli “streamer” sono l’oggetto ideale delle relazioni parasociali
Abbiamo già visto, in un tutorial precedente, come la relazione parasociale sia l’illusione psicologica inconscia che ci fa nutrire verso una celebrità o una persona che conosciamo attraverso i media gli stessi sentimenti che proviamo nei confronti di un amico o di un parente.
Uno “streamer”, una persona che vediamo a schermo per ore mentre parla dei nostri interessi, mentre gioca ai giochi che ci piacciono o mentre condivide idee che sentiamo anche nostre diventa – per il nostro cervello – un amico che ci fa compagnia. Niente di troppo diverso rispetto ai personaggi della tv, ma in questo caso il rapporto è più intenso, più personalizzato, a volte temporalmente più esteso, fatto anche di uscite “In real life”, in cui gli “streamer”, con videocamera accesa, escono per le strade della città.
Secondo aspetto: gli streamer “monetizzano” le relazioni parasociali
Come guadagna uno streamer? Esattamente come i media tradizionali, gli “streamer” guadagnano attraverso sponsorizzazioni e spot trasmessi durante le dirette. Ma, diversamente dai media tradizionali, gli “streamer” danno modo ai loro utenti di abbonarsi ai loro canali per contenuti esclusivi o possibilità di interazione, oppure di effettuare donazioni.
Se nel web – che in teoria sarebbe dovuto essere il tempio della gratuità – giovani e giovanissimi destinano, senza alcun obbligo, parte della loro paghetta ai loro “streamer” preferiti, pensate a quanto forte sia la relazione parasociale che li lega.
Terzo aspetto: il competitor degli “streamer” è il silenzio
Giovani e giovanissimi fruiscono dei contenuti in diretta degli “streamer” nelle modalità più disparate. Il più delle volte, però, non è una fruizione esclusiva. Gli “streamer” si seguono durante un viaggio dal cellulare, da una finestra aperta mentre si gioca, si fa i compiti, si naviga sul web. Esattamente come una radio accesa nella bottega di un artigiano, lo “streamer” è un’alternativa al silenzio. Un silenzio fatto di noia, a volte di angoscia.
Cosa ci portiamo a casa da tutto questo? Concludiamo questo tutorial con tre spunti di riflessione da condividere anche con i più giovani.
Primo spunto: gli “streamer” ci ricordano che viviamo di relazioni
Perché ascoltare un “streamer” che legge delle notizie quando potrei leggerle da solo? Perché guardare uno “streamer” che gioca quando potrei giocare io? Semplice, perché la nostra natura umana estremamente relazionale ci porta a guardare e ascoltare gli altri. Viviamo in una cultura profondamente individualistica, in cui è sempre più difficile sentirsi parte di un gruppo dal destino comune. Eppure, anche qui, non possiamo fare altro che aggrapparci a volti amici.
Secondo spunto: gli “streamer” che seguiamo diventano modelli da seguire
“Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”. Come nelle relazioni, anche la scelta relativa a chi guardiamo e a chi ascoltiamo ha un forte peso sulla persona che finiamo per diventare.
Chiediamo ai nostri ragazzi: chi segui nei social e sulle piattaforme streaming rappresenta il tipo di persona che vuoi diventare? Ne riconosci e ne contempli i limiti? A quali modelli positivi ti ispiri?
Terzo spunto: ci serve anche il silenzio
La noia – tanto vituperata – ha un ruolo fondamentale nella crescita di bambini e ragazzi. È quando ci si annoia che abbiamo tempo per pensare, inventare e riflettere. Oggi, però, c’è sempre un video da guardare, un gioco da giocare, la voce di uno streamer che ci tiene compagnia. Eppure, è nel silenzio che trovo il tempo per guardarmi dentro davvero. Ricordiamoci dunque dell’importanza di tenere aperti degli spazi solo per noi.
Testi: Andrea Canton