Virtual influencer: cosa ci rivela il fenomeno?

 

 

 

Questo meme di Internet gira in mille versioni e vede sempre come protagonista un personaggio storico, morto da decenni se non da secoli, e la frase: “Non credere a tutto quello che leggi su Internet”. Firmato, in questo caso, Leonardo Da Vinci.

 

C’è poi questa vignetta storica di Peter Steiner pubblicata nel 1993 sul “New Yorker” e che riporta un dialogo tra due cani: “Su Internet nessuno sa che sei un cane”. Una frase divenuta il simbolo dell’anonimato – e della possibilità di costruire “realtà parallele” – grazie alla Rete.

La Rete, secondo le visioni dei guru e gli auspici dei “profeti digitali”, grazie alla caduta degli intermediari avrebbe permesso alla Verità di trionfare. È andata in tutt’altro modo: se è vero che mai come ora ogni essere umano, persino nei luoghi meno liberi del mondo, sia in grado di accedere a una varietà sconfinata di fonti verificate, il cittadino medio è esposto a quantitativi industriali di fake news, post-verità e rimbombi delle camere dell’eco.

Esistono però anche confini più sottili tra realtà e finzione che non nascono per trarre inganno l’utente, quanto invece per coinvolgerlo di più.

Nel Tutorial di oggi parliamo infatti di Virtual Influencer, Virtual Streamer e V-Tuber. Sono fenomeni in crescita, lontani anche questi dal nostro “Web Cattolico” ma che possono aiutarci a riflettere su dove stia andando la rete, tra vita quotidiana e rappresentazione, attualizzando quello che scriveva il sociologo canadese Erving Goffman più di sessant’anni fa.

Incontriamo Shudu, modella dai tratti afroasiatici che ogni giorno su Instagram sfoggia abiti di Ferragamo, Loboutin e Balmain, ma è stata anche testimonial Samsung. Incontiamo Lil Miquela, influencer amatissima con più di tre milioni di follower. Facciamo poi la conoscenza di Gawr Gura, metà ragazza e metà squalo, che su Youtube ha oltre quattro milioni di iscritti che la seguono ogni giorno mentre gioca, canta o cucina.

Non credo di sorprendervi particolarmente se vi rivelo come né Shudu né Lil Miquela né tantomeno Gawr Gura esistano davvero. O meglio, esistono dei digital artist che ogni giorno pubblicano fotoelaborazioni di Shudu e Lil Miquela, esistono dei programmatori che hanno disegnato il modello digitale di Gawr Gura ed esiste una ragazza – la cui identità è un segreto – che ogni giorno, grazie a una webcam che traccia espressioni del viso, un microfono e tanta creatività dà anima e voce a un personaggio che, tra sponsorizzazioni, abbonamenti e donazioni, ha un giro di affari di svariati milioni di dollari.

Questi personaggi – che giocano tra realtà e finzione – permettono di coniugare aspetti ideali impossibili nella realtà alla spontaneità e all’interazione. Sono personaggi che non esistono, eppure è possibile dialogare con loro nelle chat e persino nelle fiere e nelle convention.

Virtual influencer e V-Tuber sono una provocazione da cogliere: chi può accusare queste figure di essere “fake”, quando gli influencer e le celebrità digitali in carne e ossa, tra photoshop e scatti cotonati, rischiano di essere soltanto delle proiezioni ideali per le pubblicità?

C’è più realtà nelle stories create a tavolino di influencer “reali” o nei racconti di Ironmouse, VTuber portoricana tra le più seguite al mondo che condivide con i suoi spettatori la testimonianza della lotta con la malattia – questa sì reale – che la costringe a letto da anni?

Prendere parte a una “rappresentazione” – da attore o da spettatore – può essere terapeutico: che si tratti di un gioco di ruolo educativo o una performance teatrale, a scuola o in parrocchia, è importante dare a tutti i giusti strumenti per interpretare al meglio ogni situazione che ci troviamo a vivere. È l’educazione alla lettura dei diversi contesti che fa la differenza, anche nel rapporto con i media.

In conclusione, questo fenomeno emergente, ma comunque di nicchia, della Rete, ci ricorda come molto dell’architettura di Internet e delle entità che la popolano abbia a che fare con un tacito accordo di finzioni, finzioni che vanno dagli slogan dei testimonial alle recensioni fasulle di ristoranti o alberghi.

La sfida, dunque, per tutti, e in particolare per gli educatori, non è tanto quello di smascherare le finzioni, quanto di riconoscere il profilo autentico, umano e arricchente, dopo una selezione accurata, anche di quello che troviamo sul web.

Testo: Andrea Canton