Tutti noi conosciamo – o abbiamo sentito parlare – di una persona che vive da sola, magari anziana, che tiene accesa la Tv tutto il giorno, anche quando non la guarda, solo per avere sempre in sottofondo la voce dello stesso presentatore che “fa compagnia”.
Di fronte alla “pandemia di solitudine”, che colpiva i più giovani ben prima degli effetti drammatici per la socialità umana del Coronavirus, il potere del web ha fatto emergere la gravità di ciò che psicologi e sociologi in tutto il mondo definiscono “relazioni parasociali”.
Il termine “interazione parasociale” è con noi dal 1956, ed è stato coniato dai sociologi Donald Horton e Richard Wohl durante gli anni del primo boom della televisione. Per interazione parasociale si intende l’illusione di un’interazione sociale a tu per tu con una personalità mediatica seguita a distanza alla televisione, alla radio o al cinema. E fino a qui, non c’è niente di male, del resto, alla barzelletta di un comico sul piccolo schermo reagiamo con una risata, esattamente come se ci fosse stata raccontata da un amico al bar. Ma con il tempo, questa interazione illusoria può diventare una relazione illusoria. Per relazione parasociale intendiamo infatti quella condizione che ci fa credere – anche solo inconsciamente – di avere un rapporto di amicizia reale con la persona famosa.
Non ci riferiamo a fenomeni estremi di psicosi o di deliri, ma ad abitudini sottili, che però con il web sono diventate sempre più comuni per quantità, e a volte pericolose per intensità, specie tra i giovanissimi.
Se infatti il presentatore Tv appariva solo su uno schermo all’orario prestabilito, oggi i meccanismi del web portano a prolungare l’interazione parasociale fino al parossismo, con bombardamenti di post, foto, dirette web, status e interazioni più o meno illusorie.
Non solo, il web ha permesso di creare un’infinità di grandi o piccole, a volte piccolissime, celebrità: anche Youtuber con poche centinaia di iscritti hanno tra i loro fan dei fedelissimi che li considerano amici strettissimi. Esistono poi i cosiddetti V-Tuber, avatar virtuali che diventano per chi li segue personaggi più che reali.
Le relazioni parasociali non vanno confuse con le relazioni e gli scambi nati sui social media. Conoscere un’altra persona su Facebook e Instagram, dialogare con lei, condividere pensieri e passioni, o anche semplicemente dibattere su un argomento dà luogo infatti a un’interazione vera e propria, seppur solamente digitale.
La relazione parasociale è invece interamente asimmetrica. Da una parte infatti c’è la celebrità, l’influencer, la persona che comunica, la quale decide interamente le “regole d’ingaggio”.
Dall’altra, in posizione subalterna, c’è la persona che sviluppa la relazione parasociale. Quest’ultima, a forza di leggere i post, di guardare i video o di seguire le dirette streaming della celebrità in esame, sviluppa con lei – anche soltanto in forma inconscia – quella familiarità che convince il suo cervello di avere a che fare non con una persona lontana, ma con un’amica intima, verso la quale proiettare quei bisogni emotivi destinati di solito agli amici veri, quelli in carne e ossa.
E mentre un tempo il nostro cervello era abituato a distinguere tra gli amici in carne e ossa – che incontravamo nel mondo materiale – e i personaggi mediatici – che vedevamo in TV – i social media hanno mescolato tutto in un unico contenitore. Scorrere gli status di Instagram e vedere la colazione di un nostro ex compagno del liceo seguito immediatamente dalla colazione di un attore di Hollywood aiuta ad alimentare l’illusione di essere tutti sullo stesso piano, tutti su relazioni reciproche.
Il fenomeno delle relazioni parasociali è ingigantito anche da fattori economici. Su Instagram le celebrità aumentano il loro potere di “influencer” commerciali, mentre su Youtube e su Twitch i fan pagano abbonamenti per sostenere il proprio idolo, sperando che prima o poi, leggendo da una chat che scorre all’impazzata, si accorga del suo nome o risponda alla sua domanda. Volutamente tralasciamo poi il settore dei contenuti vietati ai minori, dove il fenomeno è possibilmente ancora più preoccupante.
Insomma. Le relazioni parasociali vanno demonizzate? Non necessariamente. È bello poter sapere di più di persone che ammiriamo: lo stesso papa Francesco, grazie ai media e ai social media, ci appare più vicino ed è in grado di darci il suo messaggio con maggiore forza. Ma questo non ci distoglie dal perseguire nella nostra esistenza relazioni autentiche e reciproche.
Sapere che questo fenomeno esiste è importante perché un attaccamento troppo intenso alle relazioni parasociali può rappresentare, specie per i più giovani, una facile via alternativa alle amicizie in presenza, specie quando queste sono ostacolate da quarantene, distanziamenti, o anche solo agende troppo fitte per potersi incontrare. E i genitori possono comprendere che tutte quelle ore passate davanti a uno schermo non rappresentano necessariamente pigrizia o poca voglia di fare, ma un bisogno di relazioni e prossimità che è giusto trovi anche altre strade.
Testo: Andrea Canton