Il termine è l’abbreviazione di application e identifica una sorta di “scorciatoia” semplificata per accedere velocemente a molti servizi raccolti in un unico spazio: un programma più veloce e agile che permette di svolgere delle funzioni che, altrimenti, lo smartphone (o il tablet) non sarebbe in grado di fare in così poco tempo e con gli stessi risultati. Esistono app native e le web app (oltre a casi intermedi detti app ibride): le prime vengono installate sul dispositivo da parte dell’utente, mentre la web app si trova già sul dispositivo e non incide sulle capacità di memoria. E ancora, app gratuite e app a pagamento (in alcuni casi app con versioni gratuite ridotte nelle funzioni e app a pagamento con maggiori servizi inclusi nel “pacchetto”). Una app è più veloce, fornisce spesso elementi aggiuntivi che la versione mobile del sito non dà, è costruita in modo da essere colorata e attraente. Nella scelta delle app conta l’esperienza di altri utenti (non a caso è possibile esprimere un voto e lasciare un commento per aiutare gli altri), ma anche un pò di attenzione, ad esempio alle policy relative alla privacy (a quali dati del mio smartphone accede una volta scaricata?) o alla presenza acquisti in app (spesso nelle app gratuite).
Bullismo e cyberbullismo definiscono modalità di vivere e abusare della Rete, dei social e dei servizi online, adottando uno stile comunicativo complesso e contrario all’empatia, alla vicinanza con l’altro, al rispetto.
Il bullismo è segnato da cinque caratteristiche: l’intenzione di fare del male e la mancanza di compassione da parte del bullo, l’intensità e la durata del fatto, il potere esercitato dal bullo, la vulnerabilità della vittima, la mancanza di sostegno alla vittima. In assenza di una di queste caratteristiche in senso stretto non si potrebbe parlare di bullismo.
L’avvento dei media digitali comporta una ridefinizione del comportamento adottato nella relazione con gli altri, portando il termine bullismo verso nuovi confini che comprendiamo nel cyberbullismo: nascondersi nell’anonimato, una diminuzione del senso di responsabilità , l’estensione del pubblico (un atto é visibile da moltissimi utenti), il prolungamento dell’esposizione (il video o il post si diffondono in maniera virale oltre il tempo della visione), la percezione di una mancanza di via di fuga da parte della vittima. Difficile separare i due termini, vivendo spesso in sincronia (ciò che accade in presenza si estende anche online).
Possiamo essere cittadini oggi senza aver sviluppato competenze digitali? La risposta è negativa: siamo cittadini quando esercitiamo il diritto di voto, quando conosciamo la Costituzione, quando navighiamo in siti attendibili, quando decidiamo di non postare alcune immagini perché potrebbero risultare offensive. La Legge del 2019, responsabile dell’introduzione dell’educazione civica a scuola con 33 ore annuali, (Legge 92/2019), dedica un articolo specifico alla cittadinanza digitale (Articolo 5): “saper fruire in modo consapevole e critico dei media e della rete, partecipando attivamente ad un dibattito pubblico, creando e gestendo in sicurezza la propria identità digitale”. Si tratta di un articolo importante che lega la capacità di leggere (articoli, social, post, video, testi) a quella produttiva, legata alla partecipazione (scrittura di post e contenuti, circolazione e diffusione). Non basta dunque essere capaci di analizzare i media, la cittadinanza digitale passa dalla partecipazione responsabile di ciascuno di noi, a partire dalle prime esperienze nella società.
Nel 2009, Mark Prensky (noto per aver diffuso il costrutto di “nativi digitali) pubblica un saggio interessante che ritorna sul concetto. Se è vero che non è l’età a segnare il nostro rapporto con i media, è vero che ciò che segna il modo in cui usiamo e interagiamo con i dispositivi è ritrovabile nella presenza di saggezza digitale. Non più nativi e immigrati, ma saggi, abili e stupidi digitali. Il saggio è capace di leggere i media con consapevolezza, capacità critica, creatività, prevenendo fenomeni di offesa, persecuzione e cyberbullismo, perché è capace di decidere cosa comunicare, dove e come. In un certo senso esprime competenza nella produzione e nella lettura di forme di comunicazione adeguate. L’abile è semplicemente un “tecnico” che conosce le ultime app o social, ha un profilo in ciascuno, ma non agisce con attenzione. Infine, lo stupido digitale non riesce a orientarsi, nemmeno a livello di abilità di base, e con il suo comportamento offende, deride, plagia, perseguita, a volte senza nemmeno maturare consapevolezza. Come dice Prensky: “possiamo definire la saggezza come la capacità di trovare soluzioni pratiche, creative, contestualmente appropriate ed emotivamente soddisfacenti a problemi umani complicati”.
Non solo post e video, Facebook consente di attivare delle vere e proprie dirette. Facebook Live, infatti, è un servizio di live streaming che consente di andare in diretta sul social ed è disponibile da mobile sia su iOS che su Android. La durata di una diretta streaming su Facebook è di 8 ore. Il video viene girato e condiviso in tempo reale, fino a quando l’autore non decide terminare la diretta. Durante lo streaming i contatti ricevono una notifica, una sorta di avviso che comunica l’avvio della diretta, in modo da partecipare, commentare e aggiungere reazioni in tempo reale. Qualche tempo fa, una diretta Facebook aveva raccontato la drammatica vicenda di un ragazzo di colore, ucciso dalla polizia durante un controllo (in quel caso la fidanzata della vittima aveva attivato una diretta) andando in mondovisione e attivando uno spazio di dibattito e discussione sui temi della violenza, del razzismo, del rispetto e anche della comunicazione oltre i limiti della presenza fisica.
Facebook è un social network che permette di entrare e rimanere in contatto con un gruppo di persone (definiti “amici”), scambiando messaggi, post, video, immagini e leggendo i contenuti che la rete di contatti/amici condivide nel proprio spazio condiviso. Secondo la categorizzazione dei generi di partecipazione di Mizuko et al. (Living and Learning with New Media: Summary of Findings from the Digital Youth Project, white paper, 2008), Facebbok appartiene al gruppo di social network con una partecipazione guidata dall’amicizia (friendship-driven): si tratta di social network che vengono frequentati per rafforzare le relazioni con i propri amici, molti dei quali frequentati anche in presenza (hanging out behaviour). L’uso di Facebook è vincolato al mantenimento di un comportamento corretto, che escluda lo spamming, l’hacking, l’accesso non consentito agli account di altri utenti; la condivisione di informazioni personali false o la creazione di un account per conto di un’altra persona senza autorizzazione, la condivisione di file danneggiati o che possano pregiudicare la sicurezza del sito e degli utenti. E ancora, la pubblicazione di contenuti minatori, pornografici incitazioni all’odio o alla violenza o con immagini di nudo o di violenza esplicita o gratuita, la denigrazione e l’intimidazione, lo sviluppo di applicazioni relative all’alcol, a servizi di incontri o comunque rivolti a un pubblico adulto (comprese le pubblicità) senza indicare le dovute restrizioni di età, l’uso per scopi illegali, ingannevoli, malevoli o discriminatori. In Italia l’età minima per iscriversi a Facebook è stata fissata a 13 anni.
Facebook, per quanto meno di appeal negli ultimi anni, rappresenta uno spazio digitale di incontro, confronto e scambio, divenendo in un certo senso una sorta di “gruppo di affinità”, usando le parole del linguista americano Gee. Un gruppo di affinità raccoglie persone di provenienza diversa, geografica, anagrafica e sociale, accomunate da una passione o da uno specifico interesse. Questa logica funziona anche in Facebook, pensando a gruppi tematici (di educatori interessati al digitale, di insegnanti ecc.). Secondo Tajfel, il gruppo è il luogo principe dove si forma l’identità sociale (e i social media non sono da meno, fornendo uno spazio importante, vasto e a portata di click per costruire la propria identità e stare nel gruppo), rispecchiando a pieno i tre meccanismi della teoria: la categorizzazione (attraverso la condivisione di informazioni sulle passioni che il gruppo condivide rievocano una somiglianza, una comunanza di bisogni e di scelte che rende l’altro più vicino, includendo le persone in una categoria “vicina”), l’identificazione (in un messaggio, in una professione, in una passione) e il confronto sociale (attraverso scambi, scontri, chiacchiere). Il rischio è evidentemente di creare spazi chiusi dove parlarsi addosso, senza garantire davvero un pieno confronto, ma uniformità.
Il termine hate speech indica il “discorso d’odio”, che include non solo le parole ma tutte le modalità di comunicazione offerte dal social web. L’hate speech è “comprensivo di tutte le forme di espressione miranti a diffondere, fomentare, promuovere o giustificare l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo o altre forme di odio fondate sull’intolleranza, tra cui l’intolleranza espressa sotto forma di nazionalismo aggressivo e di etnocentrismo, la discriminazione e l’ostilità nei confronti delle minoranze, dei migranti e delle persone di origine immigrata” (Raccomandazione 20 del Consiglio d’Europa, 1997).
La Commissione Jo Cox della Camera dei deputati ha indicato nel 2017 come principali ambiti: l’odio riferito a motivi di sesso, genere e orientamento sessuale (sessismo, omofobia), motivi etnico-razziali (razzismo e discriminazione razziale, xenofobia, antigitanismo), motivi religiosi (antisemitismo, islamofobia, cristianofobia), motivi di fragilità (stereotipi negativi e discorsi d’odio contro le persone con disabilità, bullismo).
Instagram viene lanciato nel 2010 e viene acquistato da Facebook per un miliardo di dollari due anni dopo. Si tratta di un social inizialmente frequentato dagli amanti della fotografia (era in effetti il social delle immagini per eccellenza), attirando poi un pubblico più ampio. Instagram, infatti, è sicuramente uno dei social media che, negli ultimi anni, ha allargato la propria arena e anche la propria trama di riconoscimento, passando da una collocazione legata ad un “interesse” verso una partecipazione molto legata alla socializzazione, seguendo la nota categorizzazione di Mitzuko Ito, che differenzia tra generi di partecipazione basati sugli interessi e generi di partecipazione basati sull’amicizia. Si tratta di un canale visuale, orientato dalle immagini e dai video, utile per ricevere informazioni veloci nella forma di post e di stories (o storie) che prevedono l’uso di musica, frasi, tag. L’informazione deve tenere conto della velocità di fruizione da parte dell’utente, della necessità di conoscere il proprio target (età, tempo di permanenza sulle stories, numero di interazioni) affinché possa costruire ad hoc contenuti adatti a pubblico che possiamo definire in movimento. In Italia l’età minima per iscriversi a Instagram è stata fissata a 13 anni.
Tradotto dall’inglese, significa notiziario o bollettino. Si tratta di un insieme di informazioni confezionate sulla base di alcuni criteri: il tema trattato, l’autore o il gruppo che realizza la newsletter, i destinatari principali. Solitamente gli utenti decidono di iscriversi a una newsletter perché interessati alla tematica o semplicemente desiderosi di rimanere aggiornati (pensiamo alle attività di un gruppo o di una associazione). La newsletter viene inviata attraverso una mailing list e può seguire una cadenza diversa, a seconda della tipologia di newsletter e dello scopo prefissato. In questo modo si crea un legame, una forma di affiliazione e di fidelizzazione con la comunità di riferimento.
Il termine onlife è un neologismo coniato dal filosofo italiano Luciano Floridi nel 2014: giocando con i termini online e life si vuole intendere che non siamo più noi ad essere online, ma sono i media ad essere onlife. Viviamo quindi in un contesto ibrido. Per spiegare il concetto, lo studioso utilizza una vincente e insolita metafora: paragona la società dell’onlife alla società delle mangrovie, capaci di crescere in un clima dove il fiume (di acqua dolce) incontra il mare (di acqua salata). In questo contesto non possiamo riconoscere se l’acqua sia dolce o salata, perché si tratta di una terza tipologia, l’acqua salmastra. Allo stesso modo non possiamo distinguere nettamente quando siamo online o offline: siamo nell’ibridazione onlife. Fino a qualche anno fa, si riusciva a tracciare semplicemente una linea di demarcazione che definisse i due termini; oggi è più complesso.
In Instagram, oltre alle immagini statiche (come le fotografie), è possibile comunicare attraverso le stories: si tratta di contenuti (foto e video) che rendono il profilo più movimentato e aggiornato, e che possono essere visti per 24 ore. Le storie vengono impreziosite da scritte, linee, tag, emoji, canzoni e contenuti multimediali di vario tipo, richiedendo un impegno creativo e una possibilità espressiva certamente interessante. Successivamente alla “cancellazione” del contenuto, l’autore può inserire la storia di Instagram all’interno dei “contenuti in evidenza” nel profilo, consentendo così al pubblico di visualizzarla in ogni momento. Le stories sono un modo per vivere “in contemporanea” con altri momenti di vita e spazi di racconto, lavorando sull’immediatezza e sul presente.
Qualcuno ricorderà Snapchat: le Stories sono simili al social Snapchat, che consente di pubblicare foto e video accessibili da altri per 24 ore.
Al gennaio 2019, secondo le statistiche, la funzione Stories viene utilizzata quotidianamente da 500 milioni di utenti.
TikTok nasce in Cina nel 2014 con il nome di Douyin e poi di Musical.ly, che alla fine del 2017 diventa incredibilmente popolare. L’idea di creare un social con scopi educativi, dove imparare ed insegnare attraverso contenuti rappresentati da brevi video di circa cinque minuti, si trasforma presto in idea commerciale. TikTok è disponibile in 155 Paesi con 75 lingue, nel mondo conta ad oggi 1 miliardo di utenti attivi, con più di 2 miliardi di download. Il meccanismo è semplice, una volta entrato in TikTok posso accedere a video di ogni genere, dalle lingue, al ballo, dalle parodie all’esibizionismo, da brevi tutorial a video divertenti per passare il tempo, diventando uno dei luoghi di intrattenimento più popolari oggi (non solo tra i più giovani). Non fermiamoci alle apparenze: TikTok non si limita solo a una fruizione passiva di contenuti in pillole, ma può diventare un vero e proprio laboratorio di sperimentazione di produzioni audiovisive dove sperimentarsi nel racconto e nell’uso di nuovi alfabeti. In Italia l’età minima per iscriversi a TikTok è stata fissata a 13 anni.
Secondo la categorizzazione dei generi di partecipazione di Mizuko et al. (Living and Learning with New Media: Summary of Findings from the Digital Youth Project, white paper, 2008), Twitter appartiene al gruppo di social network con una partecipazione guidata dagli interessi (interest-driven): si tratta di quegli ambienti che permettono ai soggetti di coltivare le proprie passioni, come la lettura, l’arte, la fotografia, la musica, l’informazione, diventando produttori di contenuti digitali (messing around and geeking out behaviour).
Twitter è un servizio originariamente creato nel 2006 da Jack Dorsey, nel 2022 è stato definito un accordo per l’acquisizione da parte Elon Musk per 44 miliardi di dollari. In Italia l’età minima per iscriversi a Twitter è stata fissata a 13 anni.
Per accessibilità web si intende la “possibilità, da parte dei sistemi informatici, di fornire i servizi anche a coloro che sono affetti da disabilità temporanee e non. Si riferisce alle pratiche inclusive di rimozione delle barriere che impediscono l’interazione o l’accesso ai siti web da parte di persone con disabilità. Ad esempio, rispettare il contrasto cromatico, rispettare l’adeguato tempo di navigazione in proporzione alla consistenza dei contenuti, non utilizzare elementi che lampeggiano più di tre volte, utilizzare template ordinati, non modificare il posizionamento dell’interfaccia (per una continuità in tutte le sezioni afferenti al sito).
WhatsApp è un servizio di messaggistica istantanea disponibile a livello internazionale, sviluppato nel 2005. il sistema consente di mandare messaggi con testo scritto, immagini, video, gif animate, adesivi. Inoltre, è possibile creare gruppi che uniscono più utenti, dove scambiare messaggi, video, foto in uno spazio condiviso. Nel 2022 è stata introdotta la possibilità di fornire una reazione ai post, in maniera simile a quanto accade negli social media più noti: un pollice alzato, un cuore, una emoticon che ride, una emoticon sorpresa, una emoticon triste e le mani giunte in segno di ringraziamento. E’ possibile inoltre gestire il proprio status.
Sono 1,2 miliardi le persone che usano WhatsApp ogni mese, mentre ogni giorno vengono inviati oltre 100 miliardi di messaggi WhatsApp. WhatsApp è la piattaforma di social media preferita al mondo tra gli utenti Internet di età compresa tra 16 e 64 anni (dati tratti da Hootsuite, gennaio 2022). In Italia l’età minima per iscriversi a Whatsapp è stata fissata a 16 anni.
YouTube nasce nel 2005 ed è una delle piattaforme web 2.0 più note. Youtube consente la condivisione e visualizzazione di contenuti audiovisivi come videoclip, trailer, cortometraggi, video blog, brevi video originali creati dagli utenti, video didattici. Gli utenti possono vedere le risorse, ma possono anche interagire votando, commentando, aggiungendo i video ai preferiti, garantendo una comunicazione aperta tra autori e fruitori. Il claim che ha dato vita a Youtube è “broadcast yourself”, ovvero trasmetti te stesso. Si tratta di un aspetto importante che ci riporta al tema della disintermediazione (per essere visto non ho bisogno di essere un regista o videomaker) e della necessità di rispetto e autoregolazione (Tisseron) legata alla responsabilità rispetto a ciò che posso pubblicare. In Italia l’età minima per iscriversi a Youtube è stata fissata a 13 anni.